11/03/10

Bibi Agosto



Bibi Agosto
nata a Udine
attualmente vive e lavora a Dublino







I lavori di Bibi Agosto propongono brani di realtà costruita o “accudita” con un delicato distacco. Eléna si staglia con movenze da danzatrice, racconta la sua storia, manifestandosi come forma e come identità.

In Cantimuti la poetica mimica dei volti senza suono si impone come fosse una scoperta.
Francis, che l’artista aveva presentato alla rassegna Sticeboris nel 2007, è il ritratto di un abitante di Pavia, un poeta friulano in un angolo di campagna, disarmato e cocciutamente solitario come i matti. Francis declama le sue liriche dal sapore vagamente apocalittico dietro a uno strano microfono. Il friulano dolce della bassa si spande per la campagna, ma suona estraneo alla sua stessa terra. Le riprese e l’ambientazione sembrano attribuire al poeta un ruolo da “benandant”, il protagonista delle battaglie notturne contro i demoni. Ma si tratta di un benandant privo di orpelli fascinosi, solo con la sua nuda e cruda radice.

Altre opere video di Bibi Agosto si trovano nel sito www.vimeo.com

di Eleonora Gregorat


Per video installazione si intende un tipo di arte visiva nata intorno agli anni settanta. Si tratta di un'installazione che mediata da uno schermo la cui caratteristica principale è il creare e rappresentare, per mezzo di una proiezione video, una realtà altra e artefatta con l'obiettivo di provocare nello spettatore particolari emozioni.
In questo video la protagonista, Elèna, si muove in un contesto asettico, la cui scenografia è composta da uno scorcio di una porta. L'enigma della porta è quello di non sapere se ci troviamo dentro o fuori di un ipotetico spazio.
Il performare dì Elèna sulla scena video, più che richiamare ad una archia di un corpo che si costruisce cercando di conquistare lo spazio, rimanda ad una danza di tipo anarchico dove il corpo si spezza e si decostruisce rapportandosi ad uno spazio che la fa danzare, depistando radicalmente lo spettatore da un "accesso" intellettuale, lo si accompagna in un livello di ricezione fisico e carnale. Danza come destrutturazione del corpo attraverso movimenti rattrappiti, spasmodici accompagnati da uno sguardo che trapassa lo spettatore andando oltre la dimensione del momento presente. Un corpo apparentemente sospeso e mosso da fili invisibili.
La rappresentazione tridimensionale o video installazione, è in continuo mutamento e coinvolge l'utente totalmente, rendendolo protagonista della realtà parallela proiettata dallo schermo, diventando così parte integrante dell'opera stessa.

di Martina B.

Letizia Bellini

Letizia Bellini
nata a Pradamano
nel 1979
vive a Pradamano
lavora a Udine



Una specie di cocciutissimo gioco di bimba.
Ma è l’affermazione di riconoscimento.

Letizia costruisce le sue “bambole” assemblando ritagli provenienti da espressioni di glamour estremo, le patinate riviste di moda e le preziose decorazioni di Klimt. Nascono entrambe da una proiezione astratta del corpo trasformato in materiale da decorazione. Lei, direi, insiste, anche deturpando, anche cercando una specie di tridimensionalità.

Le esperienze della sua formazione sembravano indirizzare la sua ricerca da tutt’altra parte ma, come lei dice:

“…ma ero acerba e lontana da quella dimensione femminile che ho scoperto intorno ai 25 anni, quando finalmente mi sono sentita meno arrabbiata e combattiva, più vicina alle figure della mia famiglia, mia madre, mia nonna. Penso faccia parte di un ciclo naturale, un sentimento che si collega alla maturità e al senso materno”.
di Eleonora Gregorat


Il termine icona deriva dal greco "eikon", che può essere tradotto con immagine, e indica una raffigurazione sacra dipinta su tavola.
La realizzazione di queste icone avviene tramite la tecnica del disegno e del collage e si ispira al mondo della bellezza femminile, nonchè tematica principale delle opere dell'artista.
Il collage è stato eseguito attraverso una preventiva ed accurata ricerca di immagini di donne su riviste femminili: donne bellissime, irraggiungibili, appartenenti al mondo della moda, ma spesso inespressive, patinate, annoiate. Si tratta di un prototipo femminile proposto ed ostentato dalla società e dai media come modello ideale da imitare, da raggiungere.
Inoltre nell'insieme dell'opera, sono evidenti riferimenti stilistici dell'arte di Gustav Klimt (1862-1918), non solo attraverso l'uso massiccio del colore oro (tipico anche delle Icone), ma anche per la ripetitività dei simboli.
Attraverso l'uso della scomposizione dell'immagine e della sua rielaborazione, l'artista vuole ridare un'identità diversa al soggetto iniziale ovvero un'identità reale, femminile, con precisi riferimenti alla natura materna e procreativa della donna. E' come dire che il profano diventa sacro.
Lo scopo finale dell'artista è di demitizzare quell'ideale femminile costruito dai vari mezzi di comunicazione ad uso e consumo della società attuale portandolo ad un livello emozionale e poetico.
di Martina B.

Rosa Bernal



Rosa Bernal
nata a Girardot,Colombia
è psicologa
vive in Italia dal 1995 a Ruda







Fluidità è la caratteristica saliente della linea di Rosa.
Una linea che procede alta sulle cose, rabdomanticamente cercando nel vuoto, nella memoria, nel passato.
Sul cartone riciclato, materiale anch’esso con una sua memoria che usa come supporto, si depositano le tracce grafiche delle sue esplorazioni .
Attraversano incertezze e stereotipie pur di inseguire suggestioni lontane sia nel tempo che nel cuore.
Visitano le zone “morbide” della psiche dove si annidano miti e focolai di passioni.
“C’è un noi stessi nel corpo” afferma Rosa mentre ricerca parentele di forma, con l’ambiente, con gli esseri.
Colori sedimentati, come pervasi da un’inerzia, come offuscati dalla nostalgia.

di Eleonora Gregorat


Il lavoro di Rosa solitamente prende spunto dal luogo, dallo spazio in cui verrà esposto. Questo ci fa capire quanto l' artista percepisca l'emotività che può suscitare lo spazio e come questo la ispiri per estrapolarne poi un concetto che si trasformerà in materia pittorica. Le tecniche utilizzate da Rosa sono il disegno, il collage e la fotografia.
L'installazione qui presente si sgancia paradossalmente dal concetto precedente, ovvero quello che considera il luogo come fonte di inspirazione dell'opera; in questo particolare caso avviene invece una ricerca che assimila due precedenti mostre per formare, attraverso la sezione delle opere, un'unica successiva installazione.
In breve la prima mostra ci parla della relazione tra uomo e donna, ovvero si tratta di un fantomatico fidazamento tra l'artista ed un famoso attore hollywoodiano (A. Brody), una provocazione che l'artista ricrea attraverso l'uso e l'accostamento dell'autoritratto.
La scelta dell'attore, gioca proprio sul suo aspetto androgino discostandosi da quel particolare atteggiamento dell'uomo inteso come macho. Ma il passare del tempo ridimensiona le prime emozioni ed il personaggio da androgino inizia a svilupparsi inversamente facendo così ricredere l'artista.
Quale modo più efficace se non smembrare, sezionare l'autoritratto dell'immaginaria coppia per poi ricreare un' opera diversa nel soggetto e nella dimensione. ricreando una nuova storia, un plot fatto di segmenti che si alternano dando un senso sempre diverso a questo "puzzle".
Il soggetto della seconda parte dell'opera, provieniente da una mostra successiva, e che viene anch'essa smembrata nella materia, è la figura umana: il corpo rappresentato aderisce ad una sensazione eterea, onirica, impalpabile. " Ogni opera ha il proprio corpo", spiega l'artista, nonostante la leggerezza di questi corpi, i soggetti restano improntati sulla fisicità, sulla corporeità.

di Martina B.

Emanuela Biancuzzi



Emanuela Biancuzzi

nata a Cvidale del Friuli
nel secolo scorso

vive a Udine

lavora: altrove
manubaubau@email.it





Adrenalinica, donna di temperamento, animata da un rigore misterioso, per fortuna applicato al bene. Innocenza armata, dicevo di lei , vale ancora.

Si concentra sempre sul tema animalista, ma dal lato della vendetta. I suoi nervi reclamano un tributo di immaginazione sadica, per sopportare la lettura di “Ecocidio di Jeremy Rifkin” , progetta un’opera “germinale” perché è solo una parte di una catena di smontaggio. Appunti visivi di immagini ossessive che stanno prendendo la forma di una coreografia, come da sempre le riesce spontaneo fare. La forza delle sue visioni viene da un profondo senso di identificazione col dolore degli animali, perché, come dice:
“Ovviamente non li considero degli "elementi" e neanche come una parte importante della mia vita... Sono la mia stessa esistenza”.
E “Sotterranea, invasiva e pervasiva” è la dimensione in cui agisce.
di Eleonora Gregorat



La tematica ecologista e gli animali sono parte integrante delle illustrazioni di Emanuela Biancuzzi.
La ricerca attraverso la quale prende forma quest'opera è basata sulla lettura di "Ecocibio" di Jeremy Rifkin, ovvero l'accusa contro quella che egli chiama la "cultura della bistecca". Lettura che ha influenzato e confermato alcune ricerche e convinzioni già presenti nel pensiero dell'artista.
Qui il soggetto bovino, protagonista del libro nonchè del racconto illustrato, subisce degli attacchi da parte di alcuni personaggi che rappresenterebbero l'uomo, ma che in realtà si avvicinano molto di più alla sfera del non-umano, dello zombie, dello scheletro. Personaggi questi ultimi, significativi perchè si conformano simbolicamente ad una dimensione disumana, la stessa che viene inflitta all'animale.
Attraverso l'illustrazione l'autrice vuole evidenziare una protesta nei confronti della società che tende ad avere una maggiore consapevolezza del "finto" rispetto alla realtà, scansando per convenienza le scomode realtà. Arte come messaggio della dimensione sociale.
Volutamente l'opera è priva di cornice, questo per creare e manifestare l'esigenza di espansione dell'opera stessa privata di convenzionali confini. Una continua evoluzione verso lo spazio circostante, creando così anche un dialogo sempre in movimento tra opera-autore-spettatore. Se il tema dell'opera appartiene al concetto di contaminazione, anche i limiti fisici, materici del foglio fanno parte della stessa sfera significativa.
di Martina B.

Chiara Bonelli



Chiara Bonelli
nata a Gorizia
nel 1982
vive e fotografa a Gorizia






Trovo, tra le fotografie di Chiara pubblicate sul sito www.premioceleste.it , quello che mi sembra un riferimento al bondage, così definito in Wikipedia:

“Partendo dal light bondage, ovverosia il legare solo mani e/o piedi, si arriva a forme di annodamento complete, in cui si impedisce ogni movimento alla persona legata (in gergo sub) e sottomessa ("mummification"), o addirittura impedendogli ogni contatto col terreno ("suspension")-
In alcune forme il bondage si è trasformato, dalla pratica sessuale che era e rimane, una forma d'arte apprezzata in fotografia e nelle pitture, soprattutto in Giappone.”
Certo un’indagine nell’oscurità delle pulsioni estreme, la sua.
Il sangue, evocato nelle sue opere, non lascia dubbi. La misura della radicalità del suo discorso non riesco a coglierla ancora, tuttavia vorrei dare rilievo a queste frasi, molto indicative, tratte dalle sue risposte:
“La fotografia è solo il mezzo con cui mostro ciò che ho bisogno di mostrare.
Farmi sentire da tutti.
Essere capace ad essere felice senza abbandonare la malinconia.
Di diffidenza, perché sono tanti che non hanno voglia di pensare e provare a capire”.
di Eleonora Gregorat


Sono due le tematiche che vengono raccontate attraverso le fotografie di Chiara: il dono e la capacità di ri-donarsi.
Il dono è qui inteso come la capacità di donare se stessi profondamente senza limiti ed eccezioni, vivendo la realtà fino in fondo.
il secondo tema, strettamente connesso al primo, analizza la capacità di ri-cominciare a ri-donarsi dopo aver subito sconfitte e sofferenze nella vita.
Uno dei simboli che rappresenta e spiega queste immagini è la maschera, in questo particolare caso è stata scelta la maschera della tradizione veneziana: la storia ci racconta che una delle piaghe maggiori della città di Venezia sia stata la peste che colpì la città in più occasioni." El medico dea peste" non è in realtà una vera e propria maschera di carnevale, ma veniva indossata in casi di necessità come le epidemie di peste: il suo lungo naso conteneva una specie di filtro composto da sali ed erbe aromatiche disinfettanti.
Attraverso il soggetto della maschera l'immagine ci spiega che nonostante il timore ed il rischio del "contagio", può esserci una reazione, direi quasi alla vita sfidando una condizione di morte intesa come passività d'animo.
L'autrice esprime e ci trasmette in questo modo, la forza che contraddistingue l'essere umano, ma che nella donna e nel suo essere femminile, trova la sua massima espressione.
di Martina B.

Elena Grimaz



Elena Grimaz
nata a Udine
il 7 6 72
vive e lavora a Udine




“SENTI . MENTALE – dieci, undici, dodici… non so, stazioni
aeree
dimensioni: variabili
installazione di diversi lavori-elementi secondo la
modalità di n.stazioni aeree
Presenterò a Y in un’unica stazione-capolinea punto a
capo, le seguenti æssenze…
momenti di stazione (una sorta di sospensione, un luogo
di confine...) : sentimentaltro”

Già nel linguaggio frammentato e in un qualche modo “lirico” che usa nel descrivere il progetto, Elena procede per individuazione di elementi di uno scenario o di una visione che è già, come immagine completa , nella sua mente. La libertà con cui accoglie le manifestazioni del suo sentire profondo e lo straordinario lavoro a cui si sottomette per realizzare l’installazione, personalmente mi segnalano la presenza di tenacia e necessità. Tenacia e Necessità.

“æssenza è una percezione, una norma del sentire.
æssenze sono pelli, panni non indossabili.
Æ è un suono che funziona per ciò che è nello stesso
tempo assente e presente, sta a significare la
coesistenza dell’ assenza e dell’essenza(intesa come
presenza)”

Resti/avanzi/rifiuti di scene tra-scorse, di drammi consumati.
Gioco melanconico, sceneggiate (o solo scenografie?) ad uso domestico, misteri “passivi” , statici, che recano contenuti emblematici , da tragedia greca.

di Eleonora Gregorat


Gli elementi che caratterizzano l'opera di Elena fanno parte della quotidianità; si tratta di materiale di uso comune, ma che in questo specifico caso mutano il loro ruolo ed il loro significato, diventando altro.
La scelta dei materiali utilizzati dall'artista spesso ci parla anche della sua personalità, ad esempio il tema della calza ci riporta al femminile e perchè no al travestimento, ma anche alla leggerezza, alla sensualità. Ma nel momento in cui lo stesso materiale viene abbinato a delle ali piumate, si aggiunge al significato dell'opera un senso di purezza, di etereo, di spirituale, scoprendo così la molteplicità dell'oggetto/soggetto e del suo significato.
Nelle opere di Elena si percepisce la presenza del corpo umano: un corpo non rivelato, ma intuito e sempre presente.
Infatti le opere esposte, nonostante le dimensioni ridotte, sono indumenti eseguiti secondo le proporzioni di un corpo umano, nonostante le caratteristiche non consentano di indossarlo, come se l'autrice volesse giocare con il limite e la natura stessa del corpo umano.
L' installazione comunica una visione pittorica dell'insieme, ma ogni singolo elemento si discosta dall'altro per caratteristiche e significati diversi tra loro, producendo una propria ed unica forza materica.

di Martina B.

Susanna Pavan



Susanna Pavan
nata a Cologna Veneta
il 8/8/77
Vive e lavora a Cormòns
susi.pavan@gmail.com







“…come le linee
delle pavimentazioni o le crepe sui muri, ma anche i solchi lasciati
dalle ruote nel terreno morbido in cui spesso mi perdo!”
Alla ricerca di una preziosa essenzialità, Susanna si dedica alla costruzione di forme usando ago e filo, vincolata a un’ esigenza di chiarezza o forse di eleganza.
Sembra sospinta da un desiderio di svolta esistenziale, l’applicazione di un criterio selettivo che non influenza solo la sua attività artistica.
“la scelta del materiale da lavorare è suscettibile al momento che
vivo...in questo periodo cerco pace e ideologia nella leggerezza del
filo che si pone come un racconto, una trama che parla dei misteri del nascere e dello svilupparsi delle forme, un ricamo che mi porta alla meditazione del percorso da fare...”
Ma, conoscendosi, aspetta al varco le sue ambizioni, manifestando con una certa ironia il prevalere di una specie di atteggiamento contemplativo, nei confronti della natura che la ispira.
“l'unica vera ambizione è la possibilità di perdermi in

tranquillità tra i pulviscoli.
il mio limite coincide con la mia ambizione, mi perdo tra i pulviscoli”.

di Eleonora Gregorat


Il tramite che unisce queste due installazioni è la linea.
La prima installazione rappresenta un'insieme di molteplici fiori ricreati attraverso l'uso della penna ad inchiostro. Si tratta di creazioni floreali utopiche, irreali, appartenenti ad un mondo immaginario, ma che traggono spunto dall'osservazione e dalla riflessione di fiori reali, esistenti, tangibili.
Gioca un ruolo importante il contatto con la natura che l'autrice considera parte indispensabile delle sue opere: "..non posso fare a meno di guardare per ore le radici delle piante, i rami degli alberi e il loro modularsi tortuoso, le pelurie delle piante che nascono, le linee di forza che danno forma alle foglie o ai fiori..."
Gli strumenti di realizzazione scelti dall'artista, carta e penna, rivelano l'intenzione di trasporre di getto le proprie esperienze legate all'osservazione della natura. L'oggetto reale si trasfoma in soggetto irreale, ma il significante resta lo stesso: il fiore.
La seconda installazione è un evoluzione della prima dove il minimo comun denominatore resta sempre la linea. Ma se nel primo caso la linea è guidata, scritta, tracciata, qui il filo si muove, si spezza, si tocca. Il filo come terza dimensione.
Dal bidimensionale del foglio al tridimensionale del filo e dell'uncinetto; la materia tangibile, palpabile, ma che trova le sua origine sempre dalla stessa importante matrice: la natura.

di Martina B.

.b iotest : 13 q.

.b iotest :13 q.



1.
Terra, aria, acqua, fuoco. Qual è il tuo elemento?

2. In che parti del tuo corpo assomigli di più a tuo padre?

3. Al di là delle difficoltà tecniche qual è la dimensione più “significante” per le tue opere?


4. Che cosa vivi come centro e come periferia della tua opera?


5. La sonorizzazione della tua opera sarebbe un suono naturale, uno strumento musicale, una voce umana o un silenzio perfetto?


6. Da dove nasce la tua opera, dalle mani, dagli occhi, dai nervi o dal cervello?


7. Che cos’è che spesso “togli”?


8. In che rapporto ti poni con colui che guarda?


9. Per quali elementi del tuo mondo provi un desiderio di protezione?


10. Quali sono gli elementi della natura, le letture, o gli stimoli multimediali che favoriscono la tua produttività?


11. Qual è la tua ambizione più sincera?


12. Qual è il limite che vorresti superare e a quale livello del tuo lavoro si pone, nella fase di ideazione o di realizzazione?


13. Quali sono le tecniche, i soggetti, i materiali, gli ambiti che hai conosciuto e per ora “abbandonato” nel corso delle tue sperimentazioni espressive, per scegliere la tua attuale forma?


.b iotest : a. BiBi Agosto

.b iotest : a.

bibi agosto

1. Elemento
2. Corpo
3. Dimensione
4. Centro
5. Silenzio perfetto
6. Nervi
7. “Togli”
8. Colui
9. Protezione
10. Produttività
11. Ambizione
12. Limite
13. Abbandonato






1. Acqua
8. Lo guardo


.b iotest : a. Letizia Bellini

.b iotest : a.

letizia bellini

1. Elemento

2. Corpo

3. Dimensione

4. Centro

5. Silenzio perfetto

6. Nervi

7. “Togli”

8. Colui

9. Protezione

10. Produttività

11. Ambizione

12. Limite

13. Abbandonato


1.
Il mio elemento è sicuramente l'acqua, che riesce contemporaneamente a trasmettermi sensazioni contrastanti : serenità e pace ma anche irrequietezza e paura. Mi assomiglia perché anch'essa (le maree) è governata dalla luna, proprio come il mio carattere nonché il mio segno zodiacale(cancro).

4.Vivo come centro della mia opera la riflessione profonda attorno al mio mondo e al femminile, la tecnica diventa un mezzo dove si nasconde il mio passato e le mie conoscenze. Lo stesso richiamo a Klimt è puramente affettivo e fa parte di una memoria personale.

5.Dovessi immaginarmi una sonorizzazione per la mia opera assomiglierebbe ad una musica che esce da una vecchia radio, dove si possono cogliere anche distorsioni e interferenze.

8. Vorrei potermi non confrontare con colui che guarda, perché il timore che non venga colta l'intimità della mia opera mi rende fragile. E' probabilmente per questo motivo che è la prima volta che espongo. Non è solo un fatto di permalosità, diventa un fatto di protezione e profondo affetto per le cose che penso di raccontare dentro le mie opere.

9.
La profonda intimità del rapporto di una donna con se stessa, l’unicità di un dettaglio, un difetto: la natura femminile che difende se stessa, protegge la sacralità della vita che nasce in un grembo materno. L’armonia delle forme, la dolcezza di uno sguardo… la naturalezza dell’essere donna e madre: quando il desiderio di protezione non è altro che un impulso, quando l’immagine della femminilità che pone una mano sul proprio ventre sembra più forte di quella di un nobile cavaliere che trae una spada per difendere ciò che è suo. Quando la creazione di una donna non è altro che la perfezione della vita.

13.
Arrivo da un percorso che mi ha visto confrontarmi con tecniche informali/materiche. Quando frequentavo l'accademia dipingevo su grandi lastre di alluminio (la luce, l'argento,l'oro è un elemento che ritorna sempre) ma ero acerba e lontana da quella dimensione femminile che ho scoperto intorno ai 25 anni, quando finalmente mi sono sentita meno arrabbiata e combattiva, più vicina alle figure della mia famiglia, mia madre, mia nonna. Penso faccia parte di un ciclo naturale, un sentimento che si rifà alla maturità e al senso materno.


.b iotest : a. Rosa Bernal

.b iotest : a.

rosa bernal


1. Elemento

2. Corpo

3. Dimensione

4. Centro

5. Silenzio perfetto

6. Nervi

7. “Togli”

8. Colui

9. Protezione

10. Produttività

11. Ambizione

12. Limite

13. Abbandonato


Non seppe quando incominciò a dormire e a cadere. Fu una lunga caduta piena di colpi in testa, fatta di capitomboli continui. Quando finalmente aprì gli occhi, Alice si trovò di fronte il bianconiglio: “Terra, aria, acqua, fuoco. Qual è il tuo elemento?”

“Come? Cosa dici? Non capisco. Dove sono?” Bianconiglio tirò fuori il suo orologio e con segni d'impazienza si mise a gridare: “We shall be too late! We shall be too late! Devi rispondere. La regina ci aspetta!”. Alice volle prendersi del tempo. Riassestando le curate pieghe del suo vestito si guardò intorno e rispose: “Non conosco nessuna regina. Dove è la mia mamma?”

-“Chi ha detto di parlare delle mamme qui? Piuttosto devi dichiarare in che parti del tuo corpo assomigli di più a tuo padre?”

- “Una parte del corpo? Dovrei parlare di alcuno dei miei 23 cromosomi? Dei miei zigomi? O della mia clitoride?”
Bianconiglio sparì, rosso in faccia e furibondo. Si era fatto troppo tardi, doveva correre, correre, correre. Quindi Alice si trovò in un bosco fitto di quadri, di affreschi sbiaditi, di tour Eiffel capovolte, e poi anche di fiori parlanti. “Allora, Alice, qual è la dimensione più “significante” delle tue opere? Guarda, arriva il gatto! E' il tempo di Cheshyre. Lui sorride. Devi rispondere!”

- “Le mie opere, sì certo. Ma... opere non ne ho. Le mie opere sono la vita, la mia vita. Io che cado e trovo un coniglio e dopo un gatto, senza capire. Dove è la mia..?”

“Se non vuoi parlare del significante allora devi spiegare che cosa vivi come centro?” I fiori incominciarono a infoltirsi intorno a lei. Non riusciva a respirare. Era diventata piccola e minuta.

Allora, scappa, inciampa. Dal centro passa ad una periferia. Si ritrova in un centro -ma solo pedonale- con dei suoni perfetti. Perfetti quanto la voce umana. “Alice, siamo qui, non perderti. C'è la regina che ti aspetta!

-“No, non mi può aspettare colei che non esiste. La regina dei cuori abita nei giardini delle rose malvagie. Io qua ho solo i miei occhi, le mie mani, il mio cervello. Provo a venirne fuori ma il centro è periferia: la periferia diventa un centro. Tutto mi è stato tolto. Dove sono? Dove è la m...?”

-“Non sono queste delle domande da porre... Alice! Tu qua non sei quella che fa le domande”, disse la Regina. “Solo io faccio le domande! Quindi, solo io posso parlare. E guardare!”
Alice tremava accovacciata contro l'albero. “Apri gli occhi, Alice. E' solo un brutto sogno, Alice, Alice, torna qua”. Intanto, il cappellaio matto sorrideva.


.b iotest : a. Emanuela Biancuzzi

.b iotest : a.

emanuela biancuzzi


1. Elemento

2. Corpo

3. Dimensione

4. Centro

5. Silenzio perfetto

6. Nervi

7. “Togli”

8. Colui

9. Protezione

10. Produttività

11. Ambizione

12. Limite

13. Abbandonato

1. Il sangue, però inteso come linfa vitale, con una irrequietezza piuttosto incessante.

2. Il viso.

3. Sotterranea, invasiva e pervasiva.

4. Non centro, non periferia ma bordi. Il mio lavoro lo considero un pezzo di terra di frontiera che prende corpo approfittando di un provvisorio armistizio della psiche. E' un luogo teutonicamente regolamentato, però. I contorni non sono mai netti e sempre sul punto di svanire come nei rettangoli di Rothko.

5. Il suono di un pianoforte, alla velocità di Chopin.

6. Dagli occhi, dalla radioattività estetica, più o meno letale, delle cose che guardo. Il vedere viene prima delle parole.
Considero, ripenso, digerisco e progetto con i nervi ma poi i disegnatori come me producono/lavorano essenzialmente con le scapole.

7. Niente. Io tengo tutto.
L'eccesso alimenta e produce altre forme, gli scarti possono suggerirmi altre idee o imporsi alla mia attenzione dopo molto tempo.
Dopotutto, ho anche un master in teoria e pratica del rimuginare.

8. Attualmente nessun rapporto, neanche ci penso,non mi importa. Un tempo, quando lavoravo sul tema della pornografia, mi interessava osservare le reazioni fisiche e i movimenti dell'osservatore davanti alle mie immagini, a che distanza si manteneva rispetto alla parete, come muoveva la mani, se era imbarazzato o più indignato, quanto voleva vedere o sapere una volta che aveva capito che non si trattava di una natura morta, come cambiava atteggiamento nel relazionarsi con me. Ma le reazioni dell'osservatore facevano parte di quella ricerca.

9. Per la natura, per gli animali tutti, senza distinzione di specie..
Ovviamente non li considero degli "elementi" e neanche come "una parte importante della mia vita"...
Sono la mia stessa esistenza.

10. E' l'urgenza che favorisce la mia produttività!

11. Migliorare la Manu e perfezionare la Biancuzzi.

.b iotest : a. Chiara Bonelli

.b iotest : a.

chiara bonelli

1. Elemento

2. Corpo

3. Dimensione

4. Centro

5. Silenzio perfetto

6. Nervi

7. “Togli”

8. Colui

9. Protezione

10. Produttività

11. Ambizione

12. Limite

13. Abbandonato

1. Non credo nell'astrologia, ma l'Acquario è un segno d'aria e la prendo per
buona.
E' libera, cambia direzione, è fredda o calda, è molto più degli altri elementi.
Il fuoco non può essere freddo, la terra è statica, l'acqua va in una direzione e
segue degli argini.

2. Negi occhi...credo...

3. Il soggetto e ciò che rappresenta. La perfezione tecnica può anche non esserci,
il soggetto non può mancare.
La fotografia è solo il mezzo con cui mostro ciò che ho bisogno di mostrare.

4. Il centro è il significato, non tanto quello che ha per gli altri, ma quello che ha
per me. Il centro sono le esperienze che mi hanno portato ad esprimermi.
La periferia è tutto il resto.

5. Un silenzio perfetto.

6. Dal cervello nel senso che quello che rappresento mi appare in mente.
In realtà nasce molto più in là, nasce prima, dalla vita vissuta o vista.

7. Il colore se non è necessario.

8. Di diffidenza, perché sono tanti che non hanno voglia di pensare e provare a
capire.

9. Per la memoria, per il passato, per gli affetti.

10.Le giornate grigie, il momento prima dei temporali, gli odori delle stagioni,
l'aria, il pensiero.

11.Farmi sentire da tutti.
Essere capace ad essere felice senza abbandonare la malinconia.

12.Il limite che mi ritrovo ora è materiale, limite di spazio e materiali. Limiti
legati alla realizzazione. Se avessi limiti in fase di ideazione forse allora non dovrei ideare nulla.

13.Ho abbandonato il fare musica, il cut and paste su tela col pvc, l' olio...ma non escludo di ricominciare.

.b iotest : a. Elena Grimaz

.b iotest : a.

elena grimaz

1. Elemento

2. Corpo

3. Dimensione

4. Centro

5. Silenzio perfetto

6. Nervi

7. “Togli”

8. Colui

9. Protezione

10. Produttività

11. Ambizione

12. Limite

13. Abbandonato


1. aria

2.ti invio l’immagine di mio padre

3. idea

4. risolvo in modo diverso

5. impensabile. Mi pongo questa domanda nel momento in cui lavoro col
suono

6. l’equilibrio delle parti e la loro connessione

7. ciò che non è necessario

8. dipende da dove mi trovo rispetto a colui che guarda

9. poesia

10. natura (nel senso dell’essere sé da parte delle ‘cose’, in quanto
verità)

11. comunicare

12. mero andare oltre

13. una cosa non esclude l’altra

.b iotest : a. Susanna Pavan

.b iotest : a.

susanna pavan

1. Elemento

2. Corpo

3. Dimensione

4. Centro

5. Silenzio perfetto

6. Nervi

7. “Togli”

8. Colui

9. Protezione

10. Produttività

11. Ambizione

12. Limite

13. Abbandonato


1. il mio elemento è il fuoco, ma trovo che l'aria sia un fenomeno
irraggiungibile in quanto a potenza e leggerezza, una forza che si
espleta nel movimento delle nuvole e delle fronde degli alberi...

2. rivedo mio padre più nell'atteggiamento sognatore che nelle parti
fisiche...sono identica a mia madre.

3.la dimensione è una delle difficoltà maggiori rispetto all'idea di
occupare uno spazio indefinito. Ho cominciato con una dimensione
intima, piccola, un racconto a tappe...affrontare una dimensione più
grande è di conseguenza un racconto più lungo, più articolato che
necessita della spontaneità che fa parte del racconto di se
stessi...non mi mette a disagio ma ha un impatto diverso, parla di
tante cose, tutte insieme.

4.ogni racconto ha bisogno di un inizio, un punto preciso da cui
partire, determinare uno spazio (anche fisico) in cui mettere il primo
punto...il mio centro è il vuoto, lo spazio libero, quello in cui
lasciar posto al vagare dell'immaginazione o all'estensione dello
sguardo, quello che lo circonda è la storia raccontata, l'immagine che
ho delle forme che si sviluppano e delle spore che si diffondono, un
morbido pulviscolo che arriva dappertutto...

5.quando lavoro tendo a riempire il silenzio di voci lontane, un
sottofondo anche poco interessante. la modulazione della voce è
rumorosa quanto basta a non farti sentire isolato, oppure il suono di
uno strumento solo, capace nel suo virtuosismo di modulare le
emozioni.

6. le immagini nascono soprattutto nel cervello, non posso però fare
a meno di guardare per ore le radici delle piante, i rami degli alberi
e il loro modularsi tortuoso, le pelurie delle piante che nascono, le
linee di forza che danno forma alle foglie o ai fiori, la disposizione
dei pistilli nelle corolle o le forme degli stami che accolgono i
petali...dalla più piccola alla più grande.

7.tolgo la materia, mi interessano di più le linee guida delle
forme, gli spazi che si aprono tra una forma e l'altra, come le linee
delle pavimentazioni o le crepe sui muri, ma anche i solchi lasciati
dalle ruote nel terreno morbido in cui spesso mi perdo!

8. sono abituata ad essere io stessa la prima e unica spettatrice del
mio lavoro, inutile confermare il leggero disagio di sentire occhi che
guardano il mio lavoro, ma allo stesso tempo sono molto curiosa di
sapere cosa vede chi guarda. non voglio comunicare a forza la mia
visione, la vorrei solo raccontare per condividere il benessere che
provo a sentirmi dentro l'opera.

9.il desiderio di protezione arriva in maniera molto spontanea
soprattutto nei confronti del mondo vegetale, per tutto ciò che è in
grado di mettere radici o che può essere commestibile...la ruggine
delle mele o le piante in vaso, ma anche per gli oggetti che siano
voluti o trovati,il fare con le mani, il microcosmo...sono storie che
si raccontano da sole e hanno bisogno di molto tempo per farlo, per
questo sento di dover proteggere ed esaltare il loro percorso.

11.l'unica vera ambizione è la possibilità di perdermi in
tranquillità tra i pulviscoli.

12.il mio limite coincide con la mia ambizione, mi perdo tra i pulviscoli.

13.mi è piaciuto, mi piace, ma ho lasciato:

il fumetto
la grafica
la matericità del colore
la matericità delle superfici
il colore a olio
il colore ad acquerello
i color field di Rothko (non saprei fare di meglio, e quindi potrei
limitarmi a copiare...sono per me la massima espressione di ciò che
vuol dire colore...)
l'arte concettuale
l'arte figurativa (sono una pessima disegnatrice!)
l'anatomia
suonare uno strumento
fare sport
la scultura
la decorazione
i capelli lunghi
le unghie lunghe
guidare la moto (con il camion ce l'ho fatta!!!)

Y secondo Martina B.

Y secondo Martina B.


BIBI AGOSTO


Per video installazione si intende un tipo di arte visiva nata intorno agli anni settanta. Si tratta di un'installazione che mediata da uno schermo la cui caratteristica principale è il creare e rappresentare, per mezzo di una proiezione video, una realtà altra e artefatta con l'obiettivo di provocare nello spettatore particolari emozioni.

In questo video la protagonista, Elèna, si muove in un contesto asettico, la cui scenografia è composta da uno scorcio di una porta. L'enigma della porta è quello di non sapere se ci troviamo dentro o fuori di un ipotetico spazio.
Il performare dì Elèna sulla scena video, più che richiamare ad una archia di un corpo che si costruisce cercando di conquistare lo spazio, rimanda ad una danza di tipo anarchico dove il corpo si spezza e si decostruisce rapportandosi ad uno spazio che la fa danzare, depistando radicalmente lo spettatore da un "accesso" intellettuale, lo si accompagna in un livello di ricezione fisico e carnale. Danza come destrutturazione del corpo attraverso movimenti rattrappiti, spasmodici accompagnati da uno sguardo che trapassa lo spettatore andando oltre la dimensione del momento presente. Un corpo apparentemente sospeso e mosso da fili invisibili.
La rappresentazione tridimensionale o video installazione, è in continuo mutamento e coinvolge l'utente totalmente, rendendolo protagonista della realtà parallela proiettata dallo schermo, diventando così parte integrante dell'opera stessa.



LETIZIA BELLINI


Il termine icona deriva dal greco "eikon", che può essere tradotto con immagine, e indica una raffigurazione sacra dipinta su tavola.

La realizzazione di queste icone avviene tramite la tecnica del disegno e del collage e si ispira al mondo della bellezza femminile, nonchè tematica principale delle opere dell'artista.
Il collage è stato eseguito attraverso una preventiva ed accurata ricerca di immagini di donne su riviste femminili: donne bellissime, irraggiungibili, appartenenti al mondo della moda, ma spesso inespressive, patinate, annoiate. Si tratta di un prototipo femminile proposto ed ostentato dalla società e dai media come modello ideale da imitare, da raggiungere.
Inoltre nell'insieme dell'opera, sono evidenti riferimenti stilistici dell'arte di Gustav Klimt (1862-1918), non solo attraverso l'uso massiccio del colore oro (tipico anche delle Icone), ma anche per la ripetitività dei simboli.
Attraverso l'uso della scomposizione dell'immagine e della sua rielaborazione, l'artista vuole ridare un'identità diversa al soggetto iniziale ovvero un'identità reale, femminile, con precisi riferimenti alla natura materna e procreativa della donna. E' come dire che il profano diventa sacro.
Lo scopo finale dell'artista è di demitizzare quell'ideale femminile costruito dai vari mezzi di comunicazione ad uso e consumo della società attuale portandolo ad un livello emozionale e poetico.



ROSA BERNAL


Il lavoro di Rosa solitamente prende spunto dal luogo, dallo spazio in cui verrà esposto. Questo ci fa capire quanto l' artista percepisca l'emotività che può suscitare lo spazio e come questo la ispiri per estrapolarne poi un concetto che si trasformerà in materia pittorica. Le tecniche utilizzate da Rosa sono il disegno, il collage e la fotografia.

L'installazione qui presente si sgancia paradossalmente dal concetto precedente, ovvero quello che considera il luogo come fonte di inspirazione dell'opera; in questo particolare caso avviene invece una ricerca che assimila due precedenti mostre per formare, attraverso la sezione delle opere, un'unica successiva installazione.
In breve la prima mostra ci parla della relazione tra uomo e donna, ovvero si tratta di un fantomatico fidazamento tra l'artista ed un famoso attore hollywoodiano (A. Brody), una provocazione che l'artista ricrea attraverso l'uso e l'accostamento dell'autoritratto.
La scelta dell'attore, gioca proprio sul suo aspetto androgino discostandosi da quel particolare atteggiamento dell'uomo inteso come macho. Ma il passare del tempo ridimensiona le prime emozioni ed il personaggio da androgino inizia a svilupparsi inversamente facendo così ricredere l'artista.
Quale modo più efficace se non smembrare, sezionare l'autoritratto dell'immaginaria coppia per poi ricreare un' opera diversa nel soggetto e nella dimensione. ricreando una nuova storia, un plot fatto di segmenti che si alternano dando un senso sempre diverso a questo "puzzle".
Il soggetto della seconda parte dell'opera, provieniente da una mostra successiva, e che viene anch'essa smembrata nella materia, è la figura umana: il corpo rappresentato aderisce ad una sensazione eterea, onirica, impalpabile. " Ogni opera ha il proprio corpo", spiega l'artista, nonostante la leggerezza di questi corpi, i soggetti restano improntati sulla fisicità, sulla corporeità.



EMANUELA BIANCUZZI


La tematica ecologista e gli animali sono parte integrante delle illustrazioni di Emanuela Biancuzzi.

La ricerca attraverso la quale prende forma quest'opera è basata sulla lettura di "Ecocibio" di Jeremy Rifkin, ovvero l'accusa contro quella che egli chiama la "cultura della bistecca". Lettura che ha influenzato e confermato alcune ricerche e convinzioni già presenti nel pensiero dell'artista.
Qui il soggetto bovino, protagonista del libro nonchè del racconto illustrato, subisce degli attacchi da parte di alcuni personaggi che rappresenterebbero l'uomo, ma che in realtà si avvicinano molto di più alla sfera del non-umano, dello zombie, dello scheletro. Personaggi questi ultimi, significativi perchè si conformano simbolicamente ad una dimensione disumana, la stessa che viene inflitta all'animale.
Attraverso l'illustrazione l'autrice vuole evidenziare una protesta nei confronti della società che tende ad avere una maggiore consapevolezza del "finto" rispetto alla realtà, scansando per convenienza le scomode realtà. Arte come messaggio della dimensione sociale.
Volutamente l'opera è priva di cornice, questo per creare e manifestare l'esigenza di espansione dell'opera stessa privata di convenzionali confini. Una continua evoluzione verso lo spazio circostante, creando così anche un dialogo sempre in movimento tra opera-autore-spettatore. Se il tema dell'opera appartiene al concetto di contaminazione, anche i limiti fisici, materici del foglio fanno parte della stessa sfera significativa.



CHIARA BONELLI


Sono due le tematiche che vengono raccontate attraverso le fotografie di Chiara: il dono e la capacità di ri-donarsi.

Il dono è qui inteso come la capacità di donare se stessi profondamente senza limiti ed eccezioni, vivendo la realtà fino in fondo.
il secondo tema, strettamente connesso al primo, analizza la capacità di ri-cominciare a ri-donarsi dopo aver subito sconfitte e sofferenze nella vita.
Uno dei simboli che rappresenta e spiega queste immagini è la maschera, in questo particolare caso è stata scelta la maschera della tradizione veneziana: la storia ci racconta che una delle piaghe maggiori della città di Venezia sia stata la peste che colpì la città in più occasioni." El medico dea peste" non è in realtà una vera e propria maschera di carnevale, ma veniva indossata in casi di necessità come le epidemie di peste: il suo lungo naso conteneva una specie di filtro composto da sali ed erbe aromatiche disinfettanti.
Attraverso il soggetto della maschera l'immagine ci spiega che nonostante il timore ed il rischio del "contagio", può esserci una reazione, direi quasi alla vita sfidando una condizione di morte intesa come passività d'animo.
L'autrice esprime e ci trasmette in questo modo, la forza che contraddistingue l'essere umano, ma che nella donna e nel suo essere femminile, trova la sua massima espressione.



ELENA GRIMAZ


Gli elementi che caratterizzano l'opera di Elena fanno parte della quotidianità; si tratta di materiale di uso comune, ma che in questo specifico caso mutano il loro ruolo ed il loro significato, diventando altro.

La scelta dei materiali utilizzati dall'artista spesso ci parla anche della sua personalità, ad esempio il tema della calza ci riporta al femminile e perchè no al travestimento, ma anche alla leggerezza, alla sensualità. Ma nel momento in cui lo stesso materiale viene abbinato a delle ali piumate, si aggiunge al significato dell'opera un senso di purezza, di etereo, di spirituale, scoprendo così la molteplicità dell'oggetto/soggetto e del suo significato.
Nelle opere di Elena si percepisce la presenza del corpo umano: un corpo non rivelato, ma intuito e sempre presente.
Infatti le opere esposte, nonostante le dimensioni ridotte, sono indumenti eseguiti secondo le proporzioni di un corpo umano, nonostante le caratteristiche non consentano di indossarlo, come se l'autrice volesse giocare con il limite e la natura stessa del corpo umano.
L' installazione comunica una visione pittorica dell'insieme, ma ogni singolo elemento si discosta dall'altro per caratteristiche e significati diversi tra loro, producendo una propria ed unica forza materica.



SUSANNA PAVAN


Il tramite che unisce queste due installazioni è la linea.

La prima installazione rappresenta un'insieme di molteplici fiori ricreati attraverso l'uso della penna ad inchiostro. Si tratta di creazioni floreali utopiche, irreali, appartenenti ad un mondo immaginario, ma che traggono spunto dall'osservazione e dalla riflessione di fiori reali, esistenti, tangibili.
Gioca un ruolo importante il contatto con la natura che l'autrice considera parte indispensabile delle sue opere: "..non posso fare a meno di guardare per ore le radici delle piante, i rami degli alberi e il loro modularsi tortuoso, le pelurie delle piante che nascono, le linee di forza che danno forma alle foglie o ai fiori..."
Gli strumenti di realizzazione scelti dall'artista, carta e penna, rivelano l'intenzione di trasporre di getto le proprie esperienze legate all'osservazione della natura. L'oggetto reale si trasfoma in soggetto irreale, ma il significante resta lo stesso: il fiore.
La seconda installazione è un evoluzione della prima dove il minimo comun denominatore resta sempre la linea. Ma se nel primo caso la linea è guidata, scritta, tracciata, qui il filo si muove, si spezza, si tocca. Il filo come terza dimensione.
Dal bidimensionale del foglio al tridimensionale del filo e dell'uncinetto; la materia tangibile, palpabile, ma che trova le sua origine sempre dalla stessa importante matrice: la natura

Note sulle artiste a TilT

NOTE
sulle artiste

"Y"


a TILT

di Eleonora Gregorat


Letizia Bellini

Una specie di cocciutissimo gioco di bimba.


Ma è l’affermazione di riconoscimento.

Letizia costruisce le sue “bambole” assemblando ritagli provenienti da espressioni di glamour estremo, le patinate riviste di moda e le preziose decorazioni di Klimt. Nascono entrambe da una proiezione astratta del corpo trasformato in materiale da decorazione. Lei, direi, insiste, anche deturpando, anche cercando una specie di tridimensionalità.

Le esperienze della sua formazione sembravano indirizzare la sua ricerca da tutt’altra parte ma, come lei dice:

“…ma ero acerba e lontana da quella dimensione femminile che ho scoperto intorno ai 25 anni, quando finalmente mi sono sentita meno arrabbiata e combattiva, più vicina alle figure della mia famiglia, mia madre, mia nonna. Penso faccia parte di un ciclo naturale, un sentimento che si collega alla maturità e al senso materno”.


Rosa Bernal


Fluidità è la caratteristica saliente della linea di Rosa.


Una linea che procede alta sulle cose, rabdomanticamente cercando nel vuoto, nella memoria, nel passato.

Sul cartone riciclato, materiale anch’esso con una sua memoria che usa come supporto, si depositano le tracce grafiche delle sue esplorazioni .

Attraversano incertezze e stereotipie pur di inseguire suggestioni lontane sia nel tempo che nel cuore.

Visitano le zone “morbide” della psiche dove si annidano miti e focolai di passioni.

“C’è un noi stessi nel corpo” afferma Rosa mentre ricerca parentele di forma, con l’ambiente, con gli esseri.

Colori sedimentati, come pervasi da un’inerzia, come offuscati dalla nostalgia.


Susanna Pavan


“…come le linee


delle pavimentazioni o le crepe sui muri, ma anche i solchi lasciati

dalle ruote nel terreno morbido in cui spesso mi perdo!”

Alla ricerca di una preziosa essenzialità, Susanna si dedica alla costruzione di forme usando ago e filo, vincolata a un’ esigenza di chiarezza o forse di eleganza.

Sembra sospinta da un desiderio di svolta esistenziale, l’applicazione di un criterio selettivo che non influenza solo la sua attività artistica.

“la scelta del materiale da lavorare è suscettibile al momento che

vivo...in questo periodo cerco pace e ideologia nella leggerezza del

filo che si pone come un racconto, una trama che parla dei misteri del

nascere e dello svilupparsi delle forme, un ricamo che mi porta alla

meditazione del percorso da fare...”

Ma, conoscendosi, aspetta al varco le sue ambizioni, manifestando con una certa ironia il prevalere di una specie di atteggiamento contemplativo, nei confronti della natura che la ispira.

“l'unica vera ambizione è la possibilità di perdermi in

tranquillità tra i pulviscoli.

il mio limite coincide con la mia ambizione, mi perdo tra i pulviscoli”.


Bibi Agosto


I lavori di Bibi Agosto propongono brani di realtà costruita o “accudita” con un delicato distacco. Eléna si staglia con movenze da danzatrice, racconta la sua storia, manifestandosi come forma e come identità.


In Cantimuti la poetica mimica dei volti senza suono si impone come fosse una scoperta.

Francis, che l’artista aveva presentato alla rassegna Sticeboris nel 2007, è il ritratto di un abitante di Pavia, un poeta friulano in un angolo di campagna, disarmato e cocciutamente solitario come i matti. Francis declama le sue liriche dal sapore vagamente apocalittico dietro a uno strano microfono. Il friulano dolce della bassa si spande per la campagna, ma suona estraneo alla sua stessa terra. Le riprese e l’ambientazione sembrano attribuire al poeta un ruolo da “benandant”, il protagonista delle battaglie notturne contro i demoni. Ma si tratta di un benandant privo di orpelli fascinosi, solo con la sua nuda e cruda radice.

Altre opere video di Bibi Agosto si trovano nel sito www.vimeo.com .


Elena Grimaz


“SENTI . MENTALE – dieci, undici, dodici… non so, stazioni


aeree

dimensioni: variabili

installazione di diversi lavori-elementi secondo la

modalità di n.stazioni aeree

Presenterò a Y in un’unica stazione-capolinea punto a

capo, le seguenti æssenze…

momenti di stazione (una sorta di sospensione, un luogo

di confine...) : sentimentaltro”

Già nel linguaggio frammentato e in un qualche modo “lirico” che usa nel descrivere il progetto, Elena procede per individuazione di elementi di uno scenario o di una visione che è già, come immagine completa , nella sua mente. La libertà con cui accoglie le manifestazioni del suo sentire profondo e lo straordinario lavoro a cui si sottomette per realizzare l’installazione, personalmente mi segnalano la presenza di tenacia e necessità. Tenacia e Necessità.

“æssenza è una percezione, una norma del sentire.

æssenze sono pelli, panni non indossabili.

Æ è un suono che funziona per ciò che è nello stesso

tempo assente e presente, sta a significare la

coesistenza dell’ assenza e dell’essenza(intesa come

presenza)”

Resti/avanzi/rifiuti di scene tra-scorse, di drammi consumati.

Gioco melanconico, sceneggiate (o solo scenografie?) ad uso domestico, misteri “passivi” , statici, che recano contenuti emblematici , da tragedia greca.


Emanuela Biancuzzi


Adrenalinica, donna di temperamento, animata da un rigore misterioso, per fortuna applicato al bene. Innocenza armata, dicevo di lei , vale ancora.


Si concentra sempre sul tema animalista, ma dal lato della vendetta. I suoi nervi reclamano un tributo di immaginazione sadica, per sopportare la lettura di “Ecocidio di Jeremy Rifkin” , progetta un’opera “germinale” perché è solo una parte di una catena di smontaggio. Appunti visivi di immagini ossessive che stanno prendendo la forma di una coreografia, come da sempre le riesce spontaneo fare. La forza delle sue visioni viene da un profondo senso di identificazione col dolore degli animali, perché, come dice:

“Ovviamente non li considero degli "elementi" e neanche come una parte importante della mia vita... Sono la mia stessa esistenza”.

E “Sotterranea, invasiva e pervasiva” è la dimensione in cui agisce.


Chiara Bonelli


Trovo, tra le fotografie di Chiara pubblicate sul sito www.premioceleste.it , quello che mi sembra un riferimento al bondage, così definito in Wikipedia:


“Partendo dal light bondage, ovverosia il legare solo mani e/o piedi, si arriva a forme di annodamento complete, in cui si impedisce ogni movimento alla persona legata (in gergo sub) e sottomessa ("mummification"), o addirittura impedendogli ogni contatto col terreno ("suspension")-

In alcune forme il bondage si è trasformato, dalla pratica sessuale che era e rimane, una forma d'arte apprezzata in fotografia e nelle pitture, soprattutto in Giappone.”

Certo un’indagine nell’oscurità delle pulsioni estreme, la sua.

Il sangue, evocato nelle sue opere, non lascia dubbi. La misura della radicalità del suo discorso non riesco a coglierla ancora, tuttavia vorrei dare rilievo a queste frasi, molto indicative, tratte dalle sue risposte:

“La fotografia è solo il mezzo con cui mostro ciò che ho bisogno di mostrare.

Farmi sentire da tutti.

Essere capace ad essere felice senza abbandonare la malinconia.

Di diffidenza, perché sono tanti che non hanno voglia di pensare e provare a capire”.

10/03/10

"Y diventa quel che sei"


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